Via Gemito

Domenico Starnone

Federico, in dialetto Federì, è un uomo che vive con furia la sua vita, senza possibilità di conciliazione. Insofferente verso ogni tipo di lavoro ma soprattutto verso il suo di ferroviere, sempre senza una lira, tormentato dalla responsabilità di una famiglia numerosa, ha un’unica certezza: sa di avere un destino da grande pittore. Ma più questo destino stenta a compiersi, più lui fa sfuriate, prende di petto Napoli, la sua città amata e detestata, travolge tutto e tutti nella fiumana di un dialetto urlato, esuberante che privilegia l’oscenità e la bestemmia. In cima alla lista dei nemici del suo genio, quest’uomo incoercibile, rissoso, che non vuol cadere nella vita oscura ma la reinventa continuamente, colloca la moglie, Rusinè, capro espiatorio dei suoi scontenti. Su di lei si scaricano tutte le smanie, un terremoto che attraversa gli anni, i decenni, e guasta gli affetti familiari, i legami di parentela, segna profondamente i figli, soprattutto il primogenito. È quest’ultimo a raccontare il padre ingombrante, prigioniero della sua stessa mente di artista fantasioso fino alla menzogna. Ma lo fa in modo non pacificato, testimone d’accusa, perso nella Napoli d’oggi fra le tracce di un’infanzia e di un’adolescenza affollata di quadri, colori, frenesie creative e delusioni, infelicità e allegria, verità e fraintendimenti.