Giuseppe Berto nasce a Mogliano Veneto, provincia di Treviso, il 27 dicembre 1914, secondo di cinque fratelli. Un anno prima suo padre Ernesto, già maresciallo dei Carabinieri, ha lasciato l’Arma per imposizione di sua moglie Norina (vezzeggiativo di Antonietta; il cognome è Peschiutta) e ha aperto un negozio di cappelleria-ombrelleria-ricevitoria del Lotto, dove un gruppo di ex colleghi in pensione passa le ore a discutere dei tempi passati e a stilare suppliche e memoriali destinati ai comandi superiori e al governo. Berto registrerà questi fatti ne Il male oscuro (1964), polipesco referto di una nevrosi decennale, e di una lotta col padre durata tutta la vita.

A otto anni il piccolo Bepi, bambino turbolento, viene affidato al collegio Astori di Mogliano, retto dai Salesiani; la clausura si protrae per sette anni, fino alla conclusione del ginnasio; poi, il liceo classico Canova, a Treviso. Il servizio militare lo fa invece a Palermo; tra i commilitoni c’è Tommaso Landolfi, ma non s’incontrano. Congedato, Berto s’iscrive a Lettere, a Padova. Dà solo due esami, poi, nel ’35 si arruola come volontario per l’Africa Orientale: ci resta quattro anni, sottotenente di fanteria. In battaglia si guadagna una medaglia di bronzo e una ferita al tallone di Achille del piede destro.

Al ritorno in Veneto la Laurea è fulminea e coincide con l’entrata dell’Italia nella guerra mondiale. Berto si divide tra l’insegnamento (latino e storia, prima alle magistrali poi in un istituto per geometri) e l’impegno politico nel Fascio di Treviso. Nel frattempo il «Gazzettino Sera» di Venezia gli ha pubblicato il primo racconto, La colonna Feletti. Annoiato e impaziente, Berto torna ad arruolarsi volontario, nella Milizia fascista; stavolta la destinazione è l’Africa Settentrionale, dove giunge quando la sorte dell’Asse è segnata. Preso prigioniero dagli americani, conferma la propria lealtà al regime fascista e viene perciò tradotto in un fascist camp oltreoceano, a Hereford, deserto del Texas. Vi resterà fino al febbraio 1946. Tra i mille ufficiali reclusi troviamo il pittore (già medico) Alberto Burri, il futuro magistrato-scrittore Dante Troisi, il futuro giornalista-romanziere Gaetano Tumiati, il pittore e poeta Ervardo Fioravanti, il giornalista Giosuè Ravaioli. La vita intellettuale è intensa. Nascono riviste che circolano manoscritte in copia unica e nascono i primi due romanzi di Berto: Le opere di Dio, scritto nel marzo 1944 ma pubblicato nel ’48, e Il cielo è rosso qui presentato, che esce presso Longanesi alla fine del ’46 ottenendo il Premio Firenze; la commissione è composta da Silvio Benco, Pietro Pancrazi, Attilio Momigliano, Eugenio Montale (che in verità non apprezza Berto, e nemmeno ha letto il suo libro) e Aldo Palazzeschi. Il successo editoriale è pieno, accompagnato com’è da utili (ai fini commerciali) polemiche; tradotto negli Stati Uniti, il libro diventa un bestseller. Il terzo romanzo, Il brigante, opera di fantasia ispirata alle vicende politico-criminali di Salvatore Giuliano, esce da Einaudi nel 1951. Al ritorno in Italia Berto aveva vissuto nuovamente a Mogliano, ma frequentando anche la buona società di Venezia. Era ormai pronto per trasferirsi a Roma, dove lavorerà come sceneggiatore cinematografico, faticherà per guadagnare col giornalismo e s’impantanerà in una depressione durata dieci anni. Nasce una grande amicizia con Leopoldo Trieste, sceneggiatore oltreché attore. Pochi tra i film ai quali Berto contribuisce sono memorabili: Anna di Lattuada, Gelosia di Germi, La voce del silenzio di Pabst, Gli innamorati di Bolognini. Anche il clamore letterario si è andato smorzando; Il brigante viene stroncato da Emilio Cecchi con ferocia e divertimento. In questi anni Berto vive con Stella Pines, pittrice e designer di nazionalità argentina ma di origine ebrea askenazita. È un legame turbolento, come tutte le sue numerose storie d’amore. Nel 1955 esce da Garzanti Guerra in camicia nera: i mesi della disfatta vengono ricostruiti a memoria, sulla base di scarsi appunti superstiti. Questo libro gli aliena altre simpatie politiche e letterarie. Nel frattempo ha sposato (8 aprile 1954) una ragazza giovanissima, Manuela Perroni, studentessa magistrale, che in novembre gli dà una figlia, Antonia. Ernesto Berto era scomparso invece nella primavera del ’53: i fatti biografici, psichici, professionali che condurranno dieci anni più tardi alla stesura de Il male oscuro sono tutti avvenuti. Manca soltanto lo psicoanalista, Nicola Perrotti, freudiano, l’uomo che letteralmente gli salverà la vita. E manca l’innesco dell’acerrima inimicizia verso Moravia («Intorno a ogni idea nuova scrive un romanzo vecchio») e i «radicali», datata anch’essa alla metà degli anni ’50.

La scoperta più felice di questi anni è la Calabria: Praia a Mare, Capo Vaticano. Berto vi si rifugerà sempre più spesso, sempre più a lungo, tentando anche, ma con incostanza e impulsività, attività commerciali e battaglie ambientaliste.

Berto rinasce scrittore con una raccolta di racconti, vecchi e nuovi, che appare nel 1963 da Longanesi sventolando il titolo Un po’ di successo; ma il libro che risponde all’invocazione, Il male oscuro, esce da Rizzoli: da questo momento in poi Berto si ritrova conteso dai grandi editori, e ne saprà profittare, tantopiù che il suo libro vince ben due grandi premi letterari nell’estate 1964, Campiello e Viareggio, e si guadagna perfino un memorabile elogio radiofonico di Carlo Emilio Gadda, più tardi ristampato come prefazione. Ancora da Rizzoli esce, nel ’66, La cosa buffa, il romanzo interrotto cui si allude spesso nel Male. Ora i luoghi di residenza sono tre: la Calabria, Cortina e Roma. Berto corre da questo punto in poi su due binari paralleli, una inquietudine religiosa sempre più assillante e una mercuriale abilità nel confezionare storie dall’appeal fluido e redditizio. Il punto all’infinito dove questi binari vanno a incontrarsi è il libro che Berto arriva a vedere pubblicato pochissimi giorni prima della sua morte: La gloria, racconto della Passione di Gesù narrato dalla voce di Giuda Iscariota.

Il dramma L’uomo e la sua morte, che aveva vinto un concorso indetto dalla Pro Civitate Christiana di Assisi, usciva da Morcelliana, casa editrice cattolica di Brescia, nel 1964; La fantarca, fiaba fantascientifica per adulti e piccini (il titolo originario era I terroni vanno in cielo), appare presso Rizzoli nel 1965. Anche Anonimo veneziano, datato 1971, porta il marchio Rizzoli; è stato scritto appositamente per il cinema, e lo lavora per il grande schermo Enrico Maria Salerno: in entrambe le versioni il successo di questo titolo è enorme. Un anno più tardi, La Passione secondo noi stessi, ultimo titolo Rizzoli: Berto fa in tempo a cambiare nuovamente editore passando a Rusconi, col quale pubblica una «fiaba di ecologia, di manicomio e d’amore», Oh, Serafina! cui tiene dietro, nel ’75, una raccolta di racconti, È forse amore. Anni ’70, anni turbolenti: al principio di quel decennio Berto aveva ceduto all’impulso di fare una sortita nella scrittura politico-satirica, con una Modesta proposta per prevenire uscita nel 1971 da Rizzoli; è un tentativo ingenuo, che verrà subissato di critiche. Ma il libro sul quale sta puntando, ancora una volta, tutto se stesso, è La gloria. L’anno decisivo è il 1978, l’editore che ha offerto di più è Mondadori. Berto è già molto malato: il romanzo va in libreria il 23 ottobre, Berto muore nella notte del 1° novembre, festività di Ognissanti. Usciranno postumi i Colloqui col cane (1986) e La colonna Feletti. I racconti di guerra e di prigionia (1987). L’editore di entrambi è Marsilio di Venezia: con questa sede, e con il tema militare, Berto ritorna a casa.