Curzio Malaparte (pseudonimo di Kurt Erich Suckert, adottato nel 1925) nasce a Prato nel 1898 da padre tedesco e madre italiana. Sin da giovanissimo è attratto dalla politica: s’iscrive dapprima al Partito repubblicano per poi passare a gruppi di nazionalisti e fonda il giornale satirico «Il becchino». Nel 1914 fugge di casa per arruolarsi come volontario nella legione garibaldina per combattere i francesi nelle Argonne. Con l’entrata in guerra dell’Italia, passa nelle fila dell’esercito regolare, rimanendovi sino al 1917, quando una seria ferita ai polmoni lo costringe a congedarsi.

Il suo primo scritto, La rivolta dei santi maledetti (1921) è dedicato proprio agli anni di guerra, raccontati con gli occhi dei soldati incontrati al fronte (un altro disincantat o ricordo della guerra vedrà la luce nel 1959, col titolo Mamma marcia). Nel 1922 s’iscrive fra i primi al Partito fascista e intraprende, per un breve periodo, la carriera diplomatica come addetto culturale all’ambasciata di Varsavia, da dove inizia la collaborazione giornalistica con «Il Mattino» (di cui diventa redattore capo nel 1928). Rientrato in Italia, continua a scrivere le sue riflessioni sullo stato sociale e politico dell’Europa del primo dopoguerra con i saggi Le nozze degli eunuchi (1923), L’Europa vivente (1925) e Italia barbara (1927, per le edizioni di Piero Gobetti). Gli anni Venti lo vedono anche protagonista del fermento legato alle riviste: partecipa al movimento di «Strapaese», fonda la rivista «Oceanica», scrive sulla «Rivoluzione liberale» e dà avvio al progetto «900» con Bontempelli. L’esperienza maturata a «Il Mattino» gli apre le porte della direzione de «La Stampa». L’incarico è però breve perché nel 1931 vede la luce in Francia Technique du coup d’État, considerato dal regime fascista un attacco a Mussolini e subito censurato (la traduzione italiana sarà pubblicata solo nel 1948). Nel 1933, al ritorno da uno dei molti soggiorni parigini, è cacciato dal quotidiano torinese, arrestato e processato. Il giudice gli infligge cinque anni di confino a Lipari, in parte scontati a Forte dei Marmi ospite della famiglia Ciano. La produzione successiva alterna ancora saggi a romanzi. Fra gli altri, vanno segnalati Avventure di un capitano di sventura (1927) e Intelligenza di Lenin (1930); a questi si aggiungano la silloge poetica L’Arcitaliano (1928) e le due raccolte di racconti Sodoma e Gomorra (1931) e I morti di Bligny giocano a carte (1937). Nel 1937 fonda la rivista «Prospettive», nominando Moravia segretario di redazione. Nel frattempo, Ciano intercede presso il «Corriere della Sera» perché sia assunto e ottiene l’incarico di inviato speciale del giornale prima in Etiopia e poi, allo scoppio del secondo conflitto mondiale, dai fronti di Francia, Croazia, Polonia e Russia. Dopo un breve arresto nel 1943 da parte degli Alleati per sospetto collaborazionismo, è arruolato come ufficiale di collegamento con le truppe anglo-americane. Nel dopoguerra torna temporaneamente a Parigi, dove si dedica al teatro (Du coté de chez Proust, 1948; Das Kapital, 1949). Gli ultimi anni della guerra sono all’origine delle sue opere più note: Kaputt (1944) e La pelle (1949). Nel 1954 tenta ancora un’incursione nel teatro con Anche le donne hanno perso la guerra, mentre pochi anni prima si era cimentato nella direzione del film Cristo proibito (1951), senza particolare successo. L’avvicinamento al comunismo lo conduce nel 1956 a un viaggio in Unione Sovietica e in Cina.

Muore a Roma nel 1957.

E. Falqui s’incarica di raccogliere i suoi scritti, ma l’impresa s’interrompe al settimo volumi (Vallecchi, 1959-66). Una selezione di testi è stata curata da L. Martellini per i «Meridiani» Mondadori (1997).